LE SEZIONI UNITE CIVILI IN TEMA DI DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA ED ERRONEA ATTRIBUZIONE DELLA QUALITÀ DI “IMPUTATO” ANZICHÉ DI “INDAGATO” – Cassazione Civile, Sezioni Unite, 18 maggio 2025, n. 13200
Le Sezioni Unite civili, con la sentenza 18 maggio 2025 n. 13200, hanno chiarito che, in tema di diffamazione a mezzo stampa, l’esimente del diritto di cronaca giudiziaria non è configurabile ove si attribuisca ad un soggetto la falsa posizione di “imputato”, anziché di “indagato”, e/o un fatto diverso nella sua struttura essenziale rispetto a quello per cui si indaga, come nel caso di un reato consumato in luogo di quello tentato, idoneo a cagionare una lesione della reputazione.
La vicenda trae origine dalla pubblicazione di un articolo sul sito internet di una nota rivista nazionale, nel quale l’autore riferiva dell’imputazione per il reato di truffa dell’amministratore di una banca d’affari: quest’ultimo conveniva quindi in giudizio sia l’autore dello scritto giornalistico, sia il direttore responsabile del settimanale, lamentando la lesione del proprio diritto all’onore, alla reputazione e all’immagine.
L’attore deduceva, infatti, di esser stato individuato come “imputato per truffa”, mentre all’epoca egli risultava solo indagato, non essendo ancora stato raggiunto dalla richiesta di rinvio giudizio, peraltro in relazione al diverso reato di tentata truffa.
Esclusa la diffamazione all’esito del giudizio di primo grado, accertata invece in quello di appello, la causa giungeva infine all’esame della Prima Sezione civile della Corte di cassazione, il cui Presidente, con ordinanza interlocutoria, disponeva la trasmissione degli atti al Primo Presidente, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., rilevando la presenza di una questione, al contempo, di massima di particolare importanza e oggetto di contrasto (tra la giurisprudenza civile e quella penale della stessa Corte) in ordine alla ricorrenza, in ipotesi di diffamazione a mezzo stampa, della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca, in ragione dell’addebito della qualità di imputato, piuttosto che quella di indagato, e della commissione di un reato consumato piuttosto che di un reato tentato.
Nel panorama generale della giurisprudenza di legittimità, si osservava come la giurisprudenza civile era costante nell’affermare che la diffamazione a mezzo stampa fosse integrata, per l’insussistenza dell’esimente del diritto di cronaca giudiziaria, dall’attribuzione ad un soggetto nell’ambito di un articolo giornalistico della falsa posizione di imputato, anziché di indagato, allorché il giornalista riferisca di un’avvenuta richiesta di rinvio a giudizio, in luogo della reale circostanza della notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari; di diverso orientamento era invece la giurisprudenza penale, la quale escludeva che possa dar luogo ad un’ipotesi di diffamazione a mezzo stampa la divulgazione di una notizia riportante l’erronea affermazione che taluno sia stato raggiunto da richiesta di rinvio a giudizio anziché da avviso di conclusione delle indagini preliminari, ciò integrando una mera inesattezza su un elemento secondario del fatto storico, che non intacca la verità della notizia principale.
Divergenze tra sezioni civili e penali emergevano inoltre in relazione al profilo della portata diffamatoria, o meno, da riconoscere alla divulgazione di una notizia riguardante un reato consumato, piuttosto che un reato tentato: mentre per le seconde non è irrilevante per la reputazione di un soggetto l’attribuzione di un fatto illecito diverso da quello su cui effettivamente si indaga, tale essendo la fattispecie del reato tentato, rispetto a quella del reato consumato, le prime erano, invece, orientate a valutare le “imprecisioni”, al fine dell’accertamento dell’offensività, in funzione del loro peso sull’intero fatto narrato al fine di stabilire se siano idonee a renderlo “falso” e, oltre che tale, diffamatorio.
Le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione, componendo il sopraesposto contrasto giurisprudenziale, affermavano il seguente principio di diritto: «in tema di diffamazione a mezzo stampa, l’esimente del diritto di cronaca giudiziaria, qualora la notizia sia mutuata da un provvedimento giudiziario, non è configurabile ove si attribuisca ad un soggetto, direttamente o indirettamente, la falsa posizione di “imputato”, anziché di “indagato” e/o un fatto diverso nella sua struttura essenziale rispetto a quello per cui si indaga, idoneo a cagionare una lesione della reputazione (come anche nel caso di un reato consumato in luogo di quello tentato)».
Quanto al primo aspetto, in particolare, ritengono le Sezioni Unite che la differenza tra i due status, in termini giuridici, è significativa, riverberandosi sulla percezione sociale del grado di probabilità del coinvolgimento del soggetto che ne è titolare nel reato che gli viene addebitato. Non si può, quindi, relegare, di per sé e in astratto, una infedeltà narrativa di tale portata all’ambito della mera marginalità, attribuendole impropriamente neutralità ai fini del riconoscimento del carattere diffamatorio della notizia propalata.
Simili inesattezze – concludono le Sezioni Unite – «rendono inevitabilmente la narrazione non aderente al vero, inficiando l’autenticità del dato informativo e distorcendo l’opinione pubblica circa il grado di probabilità del coinvolgimento del soggetto, al quale la notizia si riferisce, nel reato contestatogli. In tal guisa, viene gettato su di lui un immotivato discredito, compromettendone la reputazione e l’immagine sociale».