ASPORTARE BENI MOBILI DALLA CASA CONIUGALE NON INTEGRA L’ATTUAZIONE DI UNA DIVISIONE DI FATTO (Cass. civ., sezione II, ordinanza 16 ottobre 2025, n. 27705).

La complessa dinamica degli eventi legati alla dissoluzione della relazione coniugale può portare alla necessità di affrontare controversie di carattere patrimoniale di varia natura, talvolta scaturenti da rivendicazioni, dell’uno o dell’altro coniuge, circa la proprietà di determinati beni mobili.

Lo scioglimento della comunione, sussistente in costanza di coniugio, ma venuta meno a seguito dell’evento separativo, comporta necessariamente la divisione dei beni tra le parti e spesso tale spartizione risulta foriera di dissidi e pretese reciproche di non pronta soluzione, soprattutto laddove non sia agevolmente dimostrabile quali beni fossero di proprietà esclusiva di ciascuno dei contendenti, e quali, invece, siano stati acquistati in regime di comunione.

L’individuazione dell’identità e la eventuale proprietà esclusiva di determinati beni mobili assume importanza fondamentale nelle situazioni conflittuali nelle quali appare ravvisarsi una divisione per c.d. fatti concludenti posto che, in difetto, le porzioni di beni da attribuire all’uno o all’altro coniuge potrebbero penalizzare l’effettiva titolarità.

Fattispecie tipica di tale eventualità è l’ipotesi in cui un coniuge asporti solo una minima parte dei beni dalla casa coniugale e avanzi pretese restitutorie sul resto.

La Corte di Cassazione ha avuto modo di prendere posizione su tale circostanza, chiarendo che non possa ravvisarsi una divisione di fatto dei beni mobili comuni a seguito del mero asporto di soli alcuni beni dalla casa coniugale da parte di uno dei due coniugi.

Non risulta possibile, dunque, ragionare per presunzioni, ma occorre effettuare una disamina specifica sia dei beni asportati, sia di quelli residui all’interno dell’abitazione, individuandone l’identità e l’appartenenza.

Al fine di comprendere meglio il ragionamento proposto dalla Suprema Corte nella casistica esaminata va rammentato che, in regime di comunione dei beni, quando occorre operare la divisione dei mobili, il criterio adottato è il seguente: i beni acquistati dopo il matrimonio sono (salvo eccezioni che per sintesi non vengono qui trattate) considerati comuni e debbono essere divisi in parti uguali; i beni acquistati da uno solo dei coniugi antecedentemente al matrimonio restano nella sua esclusiva proprietà tranne nei casi in cui sia comprovabile un diverso accordo.

Appare evidente, dunque, la dirimente necessità di individuare preliminarmente gli eventuali beni di esclusiva proprietà delle parti, al fine di determinare la massa costituente la comunione e procedere alla suddivisione equa.

La pronuncia della Suprema Corte è intervenuta in una diatriba sottoposta alla decisione del Tribunale di Perugia, adìto da un coniuge che reclamava la proprietà esclusiva di buona parte del mobilio rimasto all’interno della casa coniugale al momento della separazione (frangente in cui l’attore asportava solo alcuni beni dall’abitazione, a seguito del suo trasferimento presso altra dimora). Sia il Giudice di prime cure, sia la Corte d’Appello di Perugia respingevano tale richiesta.

Di diverso avviso, tuttavia, si è mostrata la Corte di Cassazione, la quale ha ritenuto errato il ragionamento effettuato dai giudici del merito, che avevano ritenuto impossibile attribuire la proprietà esclusiva all’una o all’altra parte e classificato come divisione di fatto la scelta unilaterale dell’attore di asportare solo alcuni beni; e ciò indipendentemente dall’eventuale squilibrio, a favore dell’altro coniuge, in relazione alla porzione dei beni mobili residui.

In particolare, la Suprema Corte ha rilevato l’impossibilità di considerare perfezionata e conclusa la divisione dei beni – divisione unilaterale per facta concludentia – sulla scorta di una scelta personale avvenuta in concomitanza con la cessazione della convivenza. Se tale scelta fosse considerata come divisione di fatto, ne sarebbe conseguito che tutti i beni rimasti all’interno della casa coniugale dovrebbero essere attribuiti all’altro coniuge, indipendentemente dalla proprietà, esclusiva o meno, dei medesimi. Siffatta soluzione, oltre a rivelarsi lesiva dei diritti sulla proprietà, appare violare anche i principi sopra rammentati sulla equa suddivisione dei beni mobili comuni.

Il ragionamento proposto dalla Cassazione, dunque, impone una disamina precisa in relazione alla natura ed all’identità  dei beni, senza la quale non è possibile sostenere che vi sia un accordo di fatto, tra le parti, circa le modalità di suddivisione dei beni mobili.

Massima:

L’asporto da parte dell’ex coniuge di alcuni beni mobili dall’abitazione coniugale non autorizza, di per sé, senza alcuna considerazione relativa all’identità dei beni asportati e di quelli residui, l’illazione che l’iniziativa avesse riguardato anche beni comuni; né tanto meno autorizza a ravvisare in quella medesima iniziativa – se e nella misura in cui l’attore avesse realmente prelevato beni ulteriori oltre a quelli di proprietà esclusiva – l’attuazione di una divisione di fatto.