SCIOGLIMENTO DELL’UNIONE CIVILE: POSSIBILITA’ DI RICONOSCERE L’ASSEGNO DIVORZILE
L’introduzione delle unioni civili con la l. n. 76/2016, c.d. “Legge Cirinnà”, ha rappresentato una svolta epocale per il riconoscimento giuridico delle coppie formate da persone dello stesso sesso, quale appunto formazione sociale giuridicamente regolata, distinta dal matrimonio, ma fondata anch’essa sull’assunzione reciproca di doveri di solidarietà e assistenza.
Al riguardo non è però specificato quale normativa debba essere applicata in caso di scioglimento dell’unione civile, posto che la legge Cirinnà non contiene una disciplina dettagliata in materia di mantenimento in caso di disparità economica tra le parti; in particolare, l’art. 1, comma 25 della l.n. 76/2016 richiama, solamente l’applicazione analogica delle disposizioni sullo scioglimento del matrimonio, rendendo pienamente operativo l’art. 5, comma 6, della L. 898/1970, prevedendo che “al fine di garantire l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenute nelle leggi, nei regolamenti e negli atti amministrativi relativi al matrimonio e al coniuge“.
Con l’ordinanza n. 25495/2025 la Corte di Cassazione ha sull’argomento sancito di recente il diritto all’assegno di divorzio anche alle unioni civili, equiparando detti rapporti al matrimonio tradizionale.
Ciò anche alla luce degli artt. 2 e 3 della costituzione per cui benchè l’unione civile sia un istituto diverso dal matrimonio, comunque “è espressione di una comunità degli affetti nel disegno pluralistico dei modelli familiari che si registra a seguito dell’evoluzione sociale e dei costumi”.
In particolare, la Suprema Corte ha innanzitutto chiarito in maniera inequivocabile la distinzione tra l’assegno di mantenimento e l’assegno di divorzio, posto che il primo può essere riconosciuto in sede di separazione e deve fondarsi sulla persistenza del dovere di assistenza materiale e morale tra i coniugi, mentre il secondo ha natura assistenziale ed attiene ad un vincolo di solidarietà post-coniugale.
Tenuto conto quindi dell’analogia che lega l’istituto del matrimonio tradizionale all’unione civile, i Giudici della Corte di Cassazione hanno sancito che “nell’ambito della unione civile, non diversamente da quanto avviene nel matrimonio, l’assegno divorzile può riconoscersi ove, previo accertamento della inadeguatezza dei mezzi del richiedente, se ne individui la funzione assistenziale e la funzione perequativo-compensativa. Mentre la prima va individuata nella inadeguatezza di mezzi sufficienti ad una vita autonoma e dignitosa e nella impossibilità di procurarseli malgrado ogni diligente sforzo, la seconda ricorre se lo squilibrio economico tra le parti dipenda dalle scelte di conduzione della vita comune e dal sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti, in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante endofamiliare, in quanto detto sacrificio sia stato funzionale a fornire un apprezzabile contributo al ménage domestico e alla formazione del patrimonio comune e dell’altra parte”.
In sintesi, come per i coniugi, anche per le coppie unite civilmente non è sufficiente una semplice disparità economica, ma occorre dimostrare che uno dei due non abbia mezzi propri per affrontare autonomamente il percorso dopo lo scioglimento dell’unione stessa, malgrado l’impegno profuso per procurarseli.
Per determinare dunque se l’assegno divorzile spetti all’ex compagno, si dovrà verificare la sussistenza o meno dei seguenti requisiti:
– inadeguatezza dei mezzi del richiedente o impossibilità oggettiva di procurarseli;
– contributo dato dal richiedente alla vita comune, anche in termini non economici (cura della casa, rinunce professionali, ecc.);
– durata dell’unione civile (nonché degli anni di convivenza di fatto antecedenti);
– condizioni economiche e patrimoniali di entrambi;
– età e stato di salute;
– eventuale presenza di figli minori o economicamente non autosufficienti.
La Suprema Corte ribadisce, infine: “Con la precisazione che la sola funzione assistenziale può giustificare il riconoscimento di un assegno, che in questo caso non viene parametrato al tenore di vita bensì a quanto necessario per soddisfare le esigenze esistenziali dell’avente diritto; se invece ricorre anche la funzione compensativa, che assorbe quella assistenziale, l’assegno va parametrato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale dell’altra parte”.