Diritto di “deindicizzazione” dai motori di ricerca. Bilanciamento tra diritto di cronaca giudiziaria e diritto all’oblio.

La Corte di Cassazione con sentenza n. 14488 del 30 maggio 2025, torna a pronunciarsi su argomenti particolarmente attuali, affrontando tematiche di rilievo quali il diritto al controllo delle informazioni che definiscono la propria immagine sociale (c.d. autodeterminazione informativa), alla luce della normativa europea e nazionale.

La Suprema Corte si è trovata a dirimere la vertenza insorta a seguito della mancata rimozione dai motori di ricerca di pagine web ed URL riguardanti articoli di cronaca giudiziaria relativi al ricorrente, che il medesimo considerava lesivi del proprio diritto all’onore, alla reputazione ed alla riservatezza, in quanto risalenti nel tempo e non più attuali, oltre ad avere ad oggetto vicende per le quali era stato successivamente assolto.

Il Giudice di prime cure rigettava il ricorso promosso ex art. 79 del Regolamento UE n. 679/206 (relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali nonché alla libera circolazione di tali dati), ritenendo insussistenti i presupposti per il riconoscimento del diritto all’oblio, nella fattispecie, diritto alla de-indicizzazione, in ragione del fatto che il nostro ordinamento non tutela incondizionatamente tale diritto, che deve, dunque, trovare necessario bilanciamento con altri diritti ed interessi, nel caso di specie, il diritto all’informazione. Il Tribunale riteneva, dunque, prevalente l’interesse collettivo alla conoscenza delle informazioni, ancorchè risalenti nel tempo, rispetto al diritto alla riservatezza.

La Corte, di diverso avviso, cassava la sentenza di primo grado, precisando importanti rilievi.

In primo luogo, evidenziava come il diritto all’oblio tuteli l’interesse soggettivo a non essere esposto, nel corso del tempo, ad una rappresentazione della propria persona non più coincidente all’attualità, con evidenti rischi in termini di danno alla reputazione ed alla riservatezza. Da qui, il concreto interesse al controllo non solo della correttezza e veridicità dei dati personali presenti sul web, ma, altresì, delle modalità di conservazione ed archiviazione di tali dati, al fine di evitare un indiscriminato accesso ad informazioni screditanti in quanto non più attuali, da parte di un numero potenzialmente illimitato di destinatari.

Proprio a causa di tale indiscriminato accesso, nel tempo e nello spazio (posto che attraverso il web chiunque, indipendentemente dalla propria ubicazione geografica, può  accedere ad un illimitato numero di informazioni) occorre effettuare un attento bilanciamento tra diritto di cronaca e diritto all’oblio, che è intrinsecamente correlato al diritto all’autodeterminazione informativa ed all’esigenza di tutelare l’immagine sociale del soggetto, sulla scorta di valutazioni in termini di adeguatezza e ragionevolezza.

Il diritto alla de-indicizzazione, consistente in una delle possibili estrinsecazioni del diritto all’oblio, permette una protezione ultronea rispetto all’art. 17 del Regolamento n. 679/2016, posto che interviene a tutela della c.d. identità dinamica del soggetto, contro la divulgazione di informazioni che, per quanto veritiere in un determinato periodo storico, non rappresentano più la realtà attuale del soggetto a cui si riferiscono.

La Corte di Cassazione, nel corso degli anni, ha avuto modo  di intervenire su tali tematiche (si veda, sul punto SS.UU. n. 19681/2019 che ha affermato, in merito al bilanciamento tra libertà di stampa e diritto alla riservatezza, la necessaria valutazione dell’interesse pubblico concreto e attuale all’accesso di determinate informazioni) annoverando il diritto all’oblio tra quelli fondamentali, aventi tutela di rango costituzionale, poiché relativo ai diritti della personalità, ed in quanto tale, suscettibile di compressione solo in presenza di determinati requisiti di particolare interesse pubblico (così, ex multis, Cass n. 36021/2023 e Cass. 15160/2021).

In secondo luogo, la sentenza in esame interviene su un altro rilevante argomento, ovvero quello relativo alla modalità con cui i dati vengono archiviati e diffusi (ad esempio web e banche dati), asserendo che una delle problematiche maggiormente rilevanti consiste proprio  nella permanenza di una notizia, senza soluzione di continuità, sul web o, come nel caso di specie, su piattaforme specificamente dedicate alla raccolta di notizie di cronaca.

La Corte di Cassazione, dopo aver richiamato sia la sentenza della Corte di Giustizia UE del 13 maggio 2014, che riconosceva il diritto alla delisting (deindicizzazione), ed individuava i motori di ricerca come responsabili del trattamento dei dati personali, sia la sentenza della Corte Costituzionale n. 85/2013 con cui veniva chiarito che non sussistono, nel nostro ordinamento, diritti aventi pretesa di assolutezza, operato il bilanciamento tra i due diritti aventi tutela di rango costituzionale (diritto di cronaca e diritto all’oblio) considerava prevalente, nel caso di specie,  il diritto all’identità personale, dal momento che il continuo accesso a contenuti di cronaca obsoleti,  aveva creato un impatto sproporzionato sull’identità personale del ricorrente, il quale aveva subito una lesione dell’onore e della reputazione.