IL DIVIETO DI PATTO COMMISSORIO OPERA ANCHE IN PRESENZA DI CONTRATTI COLLEGATI E STIPULATI TRA SOGGETTI DIVERSI (Cass., sez. II, 21/06/2025, n. 16619)
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, ha sancito che il divieto di patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c. è ravvisabile anche rispetto a più negozi tra loro collegati, qualora l’assetto di interessi complessivo sia tale da far ritenere che il trasferimento di un bene sia effettivamente volto, più che alla funzione di scambio, ad uno scopo di garanzia a prescindere sia dalla natura meramente obbligatoria o traslativa o reale del contratto, sia dal momento temporale in cui l’effetto traslativo è destinato a verificarsi, nonché dagli strumenti negoziali destinati alla sua attuazione e, persino, dalla identità dei soggetti che abbiano stipulato i negozi collegati, complessi o misti, sempre che tra le diverse pattuizioni sia ravvisabile un rapporto di interdipendenza e le stesse risultino funzionalmente preordinate allo scopo finale di garanzia.
Come noto, il patto commissorio, ai sensi dell’art. 2744 c.c., è configurabile – e vietato dall’ordinamento – quando il debitore si sia impegnato al trasferimento della proprietà di un bene, ipotecato o dato in pegno, in caso di inadempimento della propria obbligazione.
La ratio di tale divieto trova giustificazione nell’esigenza di ordine pubblico economico di evitare l’approfittamento dello stato di debolezza del debitore, a cui è connessa l’acquisizione dell’eccedenza di valore del bene oggetto della garanzia rispetto al credito garantito, e, allo stesso tempo, di garantire l’applicazione del principio generale della par condicio creditorum di cui all’art. 2741 c.c..
La Cassazione, con la pronuncia in commento, aderisce a quell’orientamento giurisprudenziale ormai costante secondo i cui, nell’indagine e nell’interpretazione dello schema contrattuale posto in essere dai contraenti, ai fini dell’accertamento dell’esistenza del patto commissorio, il criterio sostanzialistico e funzionale prevale su quello formalistico e letterale.
Il criterio sostanzialistico e funzionale impone una disamina che non si limiti alla mera verifica delle clausole contenute negli accordi sottoscritti tra le parti – tanto più che, in presenza di un divieto legale del patto commissorio, è quantomeno improbabile che il contratto, mediante il quale il predetto accordo illecito venga, in ipotesi, realizzato, possa contenere clausole il cui tenore letterale valga a disvelare esplicitamente l’intento elusivo perseguito dai contraenti – bensì si estenda all’accertamento dello scopo perseguito in concreto dalle parti e se questo venga a coincidere, direttamente o indirettamente, col divieto posto dall’art. 2744 c.c..
E, nella casistica dei negozi giuridici conclusi in violazione del divieto legale di patto commissorio, rientra anche l’ipotesi in cui le parti pongano in essere più negozi tra loro uniti da un vincolo di collegamento, anche se stipulati tra soggetti diversi, purché essi risultino concepiti e voluti come funzionalmente connessi ed interdipendenti, al fine di un più completo regolamento degli interessi, ove dalla loro disamina emerga un assetto di interessi complessivo tale da far ritenere che il procedimento negoziale attraverso il quale venga compiuto il trasferimento di un bene dal debitore al creditore sia effettivamente collegato, piuttosto che alla funzione di scambio, ad uno scopo di garanzia.
La ricostruzione di un simile intento richiede, comunque, il riscontro simultaneo dei seguenti elementi sintomatici, rivelatori dell’intento contrattuale fraudolento: l’esistenza di una situazione di credito e di debito tra le parti coinvolte nello schema negoziale, le difficoltà economiche dell’alienante e la sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall’acquirente.
In conclusione, il divieto del patto commissorio e la conseguente sanzione di nullità radicale deve essere estesa a qualsiasi negozio, tipico o atipico, quale che ne sia il contenuto, che sia in concreto impiegato per conseguire il fine, riprovato dall’ordinamento, dell’illecita coercizione del debitore, al fine di una più efficace tutela tanto del debitore stesso che del principio generale della par condicio creditorum, in funzione di contrasto della creazione di strumenti di garanzia diversi da quelli previsti dalla legge.