LA RIFORMA DEL CODICE DEONTOLOGICO FORENSE

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale 1° settembre 2025 n. 202 è ufficialmente entrata in vigore la riforma del Codice Deontologico Forense, che ha apportato alcune modifiche alle regole di condotta professionale degli avvocati. L’intera riforma, deliberata dal Consiglio Nazionale Forense, pone l’accento sui doveri di trasparenza, riservatezza e lealtà della professione forense; lo scopo del presente scritto è, pertanto, una disamina di alcuni degli articoli interessati dalla riforma, al fine di mettere in luce le novità di immediato impatto del nuovo regolamento.  

Innanzitutto, è obbligatorio per l’avvocato che presenta istanze o richieste riguardanti lo stesso fatto, “indicare i provvedimenti già ottenuti, compresi quelli di rigetto, di cui sia a conoscenza” (art. 50, comma 6): la riforma ha così voluto sottolineare l’importanza di una comunicazione puntuale e completa dell’avvocato al Giudice.

Una particolare novità della riforma è la maggiore attenzione ai procedimenti di alternative dispute resolutions (ADR) e i rapporti stragiudiziali, finora non tutelati, sotto il profilo deontologico, quanto le cause tradizionali. Ne è un esempio il secondo comma dell’art. 51, che, oltre a imporre all’avvocato l’obbligo di astenersi dal deporre sul contenuto di quanto appreso nel corso di colloqui riservati con colleghi, nonché sul contenuto della corrispondenza riservata intercorsa con questi ultimi, ora estende l’obbligo di riservatezza anche alla “corrispondenza contenente proposte transattive e (alle) relative risposte”. Tale divieto vale anche per la negoziazione assistita, rispetto alla quale è stato introdotto l’art. 62 bis, che impone all’avvocato un dovere di lealtà nei confronti delle parti, dei loro difensori e dei terzi nel corso del procedimento di negoziazione assistita e nella attività di istruzione stragiudiziale; di riservatezza, dovendo l’avvocato mantenere riservate tutte le informazioni acquisite e le dichiarazioni rese nel corso del procedimento; di correttezza, nella parte in cui vieta all’avvocato di intrattenersi con i terzi chiamati a rendere le dichiarazioni, o con le persone informate sui fatti, con forzature o suggestioni dirette a conseguire disposizioni compiacenti; e ancora di lealtà, vietando di impugnare un accordo alla cui redazione si è partecipato, con l’unico limite che l’impugnazione sia dovuta a fatti sopravvenuti o non conosciuti in precedenza. La sanzione disciplinare prevista per la violazione di queste norme è la censura per le condotte scorrette e la sospensione da due a sei mesi in caso di violazione della riservatezza.

Sempre restando in tema di ADR, la riforma ha toccato anche gli articoli 61 e 62: a garanzia dell’indipendenza del ruolo ricoperto, è stato ampliato il divieto di accettare incarichi di arbitro o mediatore in presenza di rapporti professionali diretti o indiretti con i difensori delle parti intrattenuti negli ultimi due anni, anche rispetto a soci, associati e/o professionisti che fanno parte del medesimo studio, ed in generale a chiunque “eserciti negli stessi locali o collabori professionalmente in maniera non occasionale”; sempre a garanzia di trasparenza, la riforma ha infine previsto un dovere di comunicazione scritta, da parte del professionista al cliente, di qualunque circostanza che possa incidere sulla indipendenza dell’arbitro o del mediatore.

Alla luce di quanto esposto, è evidente come la riforma abbia inteso ampliare il regolamento deontologico ispirato ai principi di correttezza, indipendenza e lealtà anche ad aspetti della vita professionale diversi dal contenzioso tradizionale, e che rispecchiano sempre di più l’evoluzione della professione forense ed il ruolo che l’avvocato è chiamato a svolgere in tutti i contesti della vita professionale.